Gli uccelli sono una parte consistente delle specie viventi, con un ruolo non secondario e con una varietà di generi e di specie che spesso fatichiamo a riconoscere, compagni, il più delle volte discreti, poco appariscenti, al punto che spesso non ci accorgiamo della loro presenza e quindi anche della loro eventuale scomparsa dai nostri territori. Pare che nel mondo vi siano circa diecimila specie di uccelli, nel paleartico occidentale, che comprende grossomodo l'Europa, il Medio Oriente ed il Nord Africa, vi sono 720 specie, secondo il Collins Bird Guide, delle quali circa la metà sono presenti come nidificanti o migratorie in Friuli Venezia Giulia.
​​​​​​​Anche nella nostra regione la riduzione generalizzata del numero di specie e di individui è dovuta principalmente alle attività umane, allo stile di vita, al modo di coltivare la terra, al modo di costruire le case, alla scomparsa delle stalle e degli animali da cortile, alla gestione dei rifiuti, ed ai cambiamenti climatici nonché, limitatamente a poche specie, alla caccia.
Alcune specie hanno tratto vantaggio da tutto questo, ad esempio alcune specie di gabbiani, le gazze e le cornacchie sono aumentati di numero facendosi anche più audaci, meno timorosi, nei confronti dell’uomo. Altre specie un tempo rare, quali colombaccio e folaga, sono presenti in buon numero come nidificanti.
Alcune specie, a mia memoria comunissime, sono scomparse del tutto e altre sono divenute rare o presenti solo durante le migrazioni. Ad esempio, le allodole, le averle, le quaglie, le starne, gli strillozzi un tempo nidificanti comuni sono praticamente scomparsi. Anche le rondini ed i passeri sono diminuiti fortemente, questi ultimi probabilmente a causa della scomparsa dei pollai, del modo di costruire i tetti, per l’aumento del numero di gazze e cornacchie, che, contrariamente ad un tempo, si avvicinano spavaldamente alle abitazioni ed esplorano le tegole alla ricerca di uova e nidiacei.
Proprio a causa della diminuzione numerica, osservare gli uccelli selvatici diventa più difficile, ma con la giusta attenzione è ancora possibile scoprire le specie che frequentano il nostro territorio. In Friuli troviamo diverse centinaia di specie, alcune delle quali molto vicine a noi. E’ sorprendente scoprire che in inverno, in un piccolo giardino del centro del pase, attorno a delle mangiatoie predisposte, si possono osservare una ventina di specie di uccelli e che, all’Isola della Cona, alla foce dell’Isonzo, sono censite circa 350 specie di uccelli.
Gli alvei fluviali (Cellina, Meduna, Tagliamento, Ausa, Corno, Stella, Torre, Isonzo), gli ambienti collinari e montani, il Carso, la fascia litorale e lagunare permettono il passaggio o l’insediamento di moltissime specie e queste aree, se esplorate con la dovuta attenzione, rivelano ancor oggi una discreta presenza di avifauna oltre che di altri animali.  Purtroppo, molti di questi ambienti sono piccoli ed isolati, non collegati tra loro, in un territorio caratterizzato da monocolture su appezzamenti estesi e decisamente poco favorevoli alla biodiversità.
Alcuni luoghi sono ancor oggi interessanti per la presenza di avifauna, c’è ancora qualche luogo dove i passeri si rincorrono e si azzuffano a primavera facendo grande strepito, qualche stalla dove la rondine ritorna a fare il nido, qualche incolto dove cresce la bardana ed il cardo selvatico di cui si nutrono, in autunno i cardellini ed i verdoni, luoghi dove ad aprile arrivano l’usignolo, l’assiolo e poco dopo, il gruccione ed il codirosso. Luoghi che, con un po’ di pratica ed un po’ di attenzione si possono scoprire, rivelati dal canto o dai movimenti degli ospiti alati. Luoghi che offrono la possibilità di notare gli uccelli e di osservare il loro comportamento che, al passante distratto sfugge quasi totalmente e che, volendo, ci daranno occasione per scoprire le abitudini, le caratteristiche e le strategie del “gioco” della sopravvivenza che ogni specie è costretta a giocare per perpetuarsi.
Anche il numero di migratori della maggior parte delle specie è diminuito fortemente negli ultimi 40 anni, peppole (montans), lucherini (luiars) e pispole (uitis) che in ottobre facevano registrare passaggi di migliaia di individui al giorno (molti dei quali finivano la loro corsa al mercato degli uccelli di Udine) oggi sono quasi una rarità anche se in una parte dei paesi di provenienza non ci sono stati gli stessi cambiamenti ambientali che hanno riguardato l’Italia.
 Il territorio dei Paesi Scandinavi non ha subito grandi cambiamenti, soprattutto nella parte più a nord, Polonia, Bielorussia, Ucraina e Repubbliche Baltiche possono vantare ambienti estesi adatti allo sviluppo della fauna selvatica e ne sono effettivamente ricchi, viene quindi da pensare che molti migratori preferiscano rotte alternative all’Italia o che, anche grazie al riscaldamento globale, la migrazione si fermi a nord delle Alpi. Questo varia molto da specie a specie, anche perché le strategie migratorie sono diverse, alcune specie compiono trasvolate, anche notturne, per diverse centinaia di chilometri senza sosta, altri preferiscono piccoli spostamenti quotidiani con soste per rifocillarsi. Sono questi ultimi, che non trovando ambienti adatti sul nostro territorio, potrebbero non arrivare alla fine del viaggio e quindi non lasciano eredi. Va inoltre detto che i cambiamenti climatici potrebbero favorire quegli individui che decidono di non partire affatto, o di fare spostamenti ridotti. Personalmente ho potuto osservare verdoni, zigoli gialli, ciuffolotti, lucherini, organetti, peppole e pettirossi con 50 centimetri di neve al suolo, a metà febbraio a Trondheim, a 63 gradi nord di latitudine (il circolo polare artico si trova a 66 gradi nord).
Ma, d’altro canto, i cambiamenti climatici possono influire negativamente sulla riproduzione di certe specie, ad esempio la cinciarella, ma ve ne sono altre: gli uccelli nidificano nel periodo che offre abbondanza di cibo per poter nutrire i nidiacei, alcune specie si regolano sul fotoperiodo (durata del giorno) per identificare il momento giusto. Le loro prede però, che nel caso della cinciarella sono i bruchi, si basano sulla temperatura primaverile e quindi sono portati ad anticipare il loro ciclo sfasandolo rispetto a quello dei predatori (il fotoperiodo non cambia). Così quando le uova si schiudono e bisogna nutrire i pulcini, i bruchi si sono già trasformati in crisalidi o in farfalle e non sono più disponibili. 
Non è difficile capire quanto siano delicati e fragili gli equilibri necessari per trovare il cibo, per costruire il nido, per portare a termine una covata, per avere una discendenza che supera il primo anno di vita e quanto sia facile per l’uomo, con interventi anche non voluti, fortuiti o deliberati, rompere questi equilibri e rendere inadatto un luogo che fino ad un momento prima era idoneo per la sopravvivenza.
Bisogna considerare anche gli effetti diretti ed indiretti di ogni evento, per esempio lo sfasamento dei cicli cui accennavo sopra potrebbe produrre una maggior pressione sulle piante che costituiscono il cibo per i bruchi, dovuta alla sopravvivenza di più bruchi ed anche una maggior pressione dei predatori su specie affini alla cinciarella, dovuta al minor numero di cinciarelle involate. 
Mi ritengo un avido ed attento ricercatore e frequentatore di  luoghi naturali e, con la scusa di carpire qualche fotografia agli amici alati, occupo discretamente un angolo, mi nascondo nell’ambiente e rimango in silenzio anche per ore, se necessario, nell’attesa di chissà quale fortunato incontro che non avviene quasi mai, ma ugualmente appagato dall’essere intimamente parte dell’ambiente a tu per tu con i miei timidi amici.

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